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L'amore è chimica?

di Lara Ricci

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17 ottobre 2009

Ricercatori francocanadesi hanno scoperto come rendere i moscerini della frutta sessualmente irresistibili (per altri moscerini). Li hanno dotati di un fascino travolgente, tanto che tutti i maschi del circondario ronzavano attorno agli esemplari femmine, ma pure maschi, da loro "truccati". Che nessun omofobo storca il naso, è di profumo che stiamo parlando e lo scopo non è depravare la natura, che peraltro è già piuttosto fantasiosa, ma capire come funzionano (se funzionano) i feromoni, sfuggenti molecole odorose che si ipotizza siano coinvolte nell'attrazione sessuale e che da mezzo secolo fanno impazzire i ricercatori. È l'amore chimico, già in vendita su internet, ma che ancora ha ben poco di scientifico.
Accoppiarsi non è un'impresa facile per i moscerini. Ci si incontra di solito per cena, su frutto marcio, e qui cominciano i guai: è strapieno di insetti simili. Come trovare quelli della propria specie e dell'altro sesso? Si pensa che siano i feromoni a indicare la retta via. Ma ce ne sono una trentina e non è semplice capirne il significato. Così Joel Levine, neurogenetista dell'Università di Toronto, ha "cancellato" in alcuni individui tutte le cellule che producono le perturbanti molecoline. L'idea era, spiega su «Nature», di provare poi a profumarli artificialmente, ogni volta con un diverso feromone e osservare le reazioni dei compagni. Con sorpresa ha scoperto che tali sostanze hanno un ruolo nell'attrazione sessuale, ma non proprio quello ipotizzato. I maschi, infatti, non avevano bisogno di "additivi", anzi. Facevano pazzie per accoppiarsi sia con le femmine che con i maschi senza aromi (a differenza delle femmine e di ciò che accadeva al protagonista inodore dell'ampolloso romanzo Profumo di Patrick Süskind). Veri tombeuse d'hommes, il segreto dei piccoli seduttori alati era l'eau de rien, capace di conquistare addirittura maschi d'altra specie. Non resta che continuare a studiare: persino per i moscerini della frutta, l'amore è più complicato di quanto s'immagini.
Secondo voi, per l'uomo, l'amore è chimica?

Conclusioni
Scoperti 50 anni fa i feromoni sono stati scovati un po' ovunque, dalle falene agli elefanti, ma la prova che esistano nell'uomo, e che siano legati all'attrazione sessuale e all'innamoramento ancora sfugge. Ripubblichiamo il divertente articolo di Sylvie Coyaud che uscì sulla Domenica del Sole 24 Ore il 18 gennaio scorso, in occasione dei 50 anni della scoperta delle inquietanti molecoline. Per chi fosse interessato a un ulteriore approfondimento, suggeriamo il saggio dello zoologo di Oxford, Tristram Wyatt, pubblicato su Nature del 15 gennaio 2009 (Vol. 457, No. 7227) o anche il suo libro Pheromones and Animal Behaviour (Cambridge University Press 2003)
di Sylvie Coyaud

Il feromone, si sa, è emanato dalla gente sexy. Volatile, fluttua nell'aria, turba le percezioni sensoriali e chi lo respira, stravede, inciampa e falls in love. Il fenomeno della caduta, diverso dal processo in svolgimento dell'innamorarsi, evoca il colpo di fulmine anche per gli effetti termici. Vanno dalla cotta effimera al perenne ardor, una variabilità causata da fattori misteriosi («chissà cosa gli trovano a quello/quella»), mistici (kharma), genetici (affinità tra complessi maggiori di istocompatibilità) e altri ancora.
Di sintesi o naturali e raccolti dalle ghiandole di Messaline e Don Giovanni referenziati, da anni i feromoni sono in vendita online puri o in soluzione. A richiesta, procureremo i link e una bibliografia sulla maggiore o minor efficacia afrodisiaca dei vari prodotti. Qui citeremo solo i testi di riferimento. Onore ai pionieri, iniziamo da "Feromoni: un termine nuovo per una classe di sostanze biologicamente attive", «Nature», 16 gennaio 1959. Peter Karlson e Martin Lüscher propongono il neologismo mutuato dal greco "φέρω", trasporto, e "oρμόνη", stimolo, che giustificano con alcuni esempi dei trasporti stimolati da dette sostanze, idrocarburi per lo più, che sono il linguaggio, talvolta imperioso, più comune all'interno di una specie, e interpretabile anche dalle altre.
Rispetto agli studi sugli insetti, quelli sui mammiferi sono scarsi. D'altronde se spalmate il feromone sessuale di uno zanzaro sul davanzale potete contare quante zanzare richiama al costo di qualche puntura. Provarci con quello di un'elefantessa è un altro paio di maniche, infatti si trova poca letteratura sui pachidermi. E fino agli anni Settanta, quasi nulla sugli umani. Per motivi d'igiene, laviamo e deodoriamo i punti nevralgici. Di morale, non siamo mica bestie. Di evoluzione, i primati sono più eccitati da percezioni visive che olfattive. Di buon senso: se le zaffate sono per noi inodori, non possono sollecitarci l'olfatto. Per inciso, questa obiezione perdura sebbene, da millenni, siamo sedotti da, e seduciamo con, profumi fatti con estratti di piante, zeppi di ormoni vegetali che il nostro naso non distingue. Un'altra obiezione riguarda l'organo vomero-nasale o di Jacobson, dal nome dell'olandese che l'ha scoperto nel 1813. Nel gatto e nel topo, sono due buchetti alla base del setto nasale, tappezzati di cellule dedicate alla cattura di quelle molecole che le spediscono nel bulbo olfattivo e in aree cerebrali, amigdala, ippocampo eccetera, legate alle emozioni e agli appetiti. Chi ha naso come la scrivente, sarà certo di averne uno Jacobson funzionante in particolare nell'età riproduttiva. Nel 1959, la credenza pareva infondata: se anche l'avessimo ereditato da un antenato remoto, mentre in milioni di anni l'homo – foemina compresa – diventava sapiens, l'organo s'era otturato. Nel sapiens sapiens era sparito.
  CONTINUA ...»

17 ottobre 2009
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